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Cessione a Poste Italiane: crediti ammessi solo se proporzionati

18 Ottobre 2023

Il tecnico deve dichiarare una proporzionalità tra il credito e il valore dell’immobile, non richiesta da alcuna norma e non del tutto chiara

È recente la notizia della riapertura da parte di Poste Italiane delle procedure di acquisto dei crediti d’imposta maturati con i bonus edilizi. Il 3 ottobre, i clienti dell’istituto hanno infatti ricevuto le istruzioni per formulare proposte di cessione dei crediti fermi nei propri cassetti fiscali.

Si tratta di una boccata d’aria per chi non è in grado di compensare gli importi, magari perché non si trova in una posizione debitoria nei confronti del Fisco che porterebbe a una qualche convenienza nell’utilizzo diretto del credito mediante scomputo delle imposte dovute in F24.

La riapertura dei “rubinetti” di Poste Italiane, però, è parziale. Non solo perché la società impone alcuni limiti espliciti, ma anche perché il cliente interessato deve allegare una fitta documentazione che permetta a Poste di tutelarsi rispetto alla “bontà” della procedura edilizia che ha generato il credito fiscale.

I paletti di Poste Italiane

Poste Italiane ha liberamente e lecitamente fissato le condizioni da rispettare.

Ad esempio la regola prevede che solo le persone fisiche possano cedere i crediti, e purché siano i primi beneficiari della detrazione. Il servizio, cioè, riapre solo in relazione alle c.d. “prime cessioni”, quelle operazioni di scambio di crediti d’imposta messe in atto da chi li detiene dall’inizio, e non perché li ha ricevuti a sua volta tramite cessione.

Oltre a tali limiti soggettivi, poi, Poste ne ha fissati alcuni di natura oggettiva, relativi cioè alle caratteristiche dei crediti. In particolare, l’istituto accetta proposte relative a crediti che non abbiano un valore oltre i 50 mila euro. Inoltre, sono cedibili solo le quote fruibili dal 2024, in relazione a crediti derivanti da spese sostenute nel 2023 o a rate residue di spese sostenute negli anni precedenti.

Il set documentale

Come accennato, Poste chiede di allegare una lunga serie di “carte”, per tutelarsi dall’eventualità di acquisire crediti “problematici”, ad esempio perché non realmente spettanti al cedente.

La suddetta lista appare come una vera e propria riproposizione del set documentale previsto dal D.L. n. 11/2023 (art. 1, lett. b), il cui possesso garantisce a chi ha ricevuto un credito tramite cessione di non essere ritenuto responsabile insieme al cedente delle violazioni da questo eventualmente commesse (fermi restando i casi di dolo e colpa grave). E così, il cliente di Poste dovrà allegare alla sua proposta il contratto d’appalto, i titoli abilitativi e le evidenze di pagamento (bonifici parlanti, fatture, ecc.), nonché le asseverazioni a suo tempo prodotte dai tecnici per accedere alle detrazioni, da produrre “anche per i crediti d’imposta maturati a fronte di interventi minori per i quali, ai sensi della normativa vigente, non risulta necessaria”.

Serve un’asseverazione in più

C’è un documento, però, che Poste chiede di avere anche se non previsto dal D.L. n. 11/2023, né da altra normativa. Si tratta di una “dichiarazione dell’asseveratore, come da modello riportato di seguito nel presente documento, in merito all’effettivo svolgimento dei lavori ed alla congruenza degli stessi rispetto al valore dell’immobile”. Analizzando il modello citato, si scopre così che per formulare una proposta a Poste, il privato deve incaricare il tecnico asseveratore di dichiarare anche “che i lavori elencati nell’asseverazione tecnica/Sal di competenza sono stati effettivamente eseguiti e sono proporzionati al valore dell’unità immobiliare”.

Dall’effettiva realizzazione dei lavori dipende la spettanza del bonus, quindi si può considerare la richiesta di Poste di una certificazione esplicita a riguardo come una cautela extra.

Ma lo stesso non vale in relazione alla proporzionalità dei lavori rispetto al valore dell’unità, requisito non richiesto da alcuna norma e dal significato non del tutto chiaro, poiché non è dato sapere se il valore cui riferirsi sia quello di mercato o la rendita catastale, né tantomeno se vada considerato il valore ante o post intervento.

Cos’è, dunque, la proporzionalità?

Una qualche spiegazione può essere rintracciata all’interno delle istruzioni fornite ai propri clienti in passato, in occasione della riapertura delle cessioni avvenuta ad agosto 2022. Anche in quel caso, come già evidenziato, l’istituto chiedeva un documento con cui il “responsabile dei servizi di asseverazione tecnica dichiara che in relazione al valore stimato dell’unità immobiliare prima dell’intervento […] non si rilevano sproporzioni tra il valore dell’unità immobiliare prima dell’intervento […] e l’ammontare dei crediti offerti in cessione”.

Tale formula risultava più completa, riportando riferimenti specifici a quale valore dell’immobile considerare, anche se comunque carente in relazione a come calcolarlo. Si nota, tra l’altro, che il riferimento al “responsabile dei servizi di asseverazione tecnica”, che era risultato particolarmente fumoso, non permettendo di individuare quale fosse il soggetto da incaricare, è stato sostituito, nella check-list documentale di questo ottobre, con la più chiara dicitura di “asseveratore tecnico”.

Come fare

Ad agosto 2022, il D.L. n. 11/2023 non esisteva ancora, e Poste, forse per coprirsi le spalle dalla possibilità di essere trascinata in contestazioni indirizzate al cedente, aveva probabilmente fatto riferimento alla Circolare di AdE n. 23/E/2022, che individuava una serie di indici “sintomatici della falsità del credito”. Tra questi, spiccava la “sproporzione tra l’ammontare dei crediti ceduti ed il valore dell’unità immobiliare” (p. 98). È possibile che Poste, in assenza di una normativa atta a regolare la responsabilità solidale tra cedente e cessionario, abbia ripreso e interpretato tale requisito.

Oggi, però, una normativa esiste (il D.L. n. 11/2023), ma nonostante ciò Poste continua a richiedere tale dichiarazione, senza specificare, peraltro, quanto invece veniva indicato ad agosto 2022.

Ciò che il professionista potrebbe fare è affidarsi alle istruzioni dell’anno scorso, che si riferivano al valore dell’immobile prima dei lavori e a una dichiarazione di “proporzionalità” tra questo e l’ammontare dei crediti ceduti. Istruzioni che, comunque, non solo non sono state richiamate quest’anno, lasciando gli operatori nel dubbio, ma che lasciano ancora aperte le considerazioni sollevate nell’agosto del 2022 sulla responsabilità professionale che il tecnico deve assumersi in caso di cessione del credito e sulla ragionevolezza di un simile requisito. Su un edificio molto vecchio e dal valore conseguentemente basso, ad esempio, possono essere stati legittimamente eseguiti lavori molto costosi, senza che questo possa in qualche modo rendere “sospetta” la spettanza di un bonus edilizio.

 

(Fonte: lavoripubblici.it)